Il tema della sostenibilità e della sua declinazione attraverso l’economia circolare è diventato dominante, occupando gran parte dell’agenda politica comunitaria e nazionale più o meno recente e determinando il progressivo orientarsi della gran parte dei modelli di business verso questo aspetto.
Esempi emblematici in questo senso possono essere ritrovati all’interno delle ultime comunicazioni annuali di Larry Fink, CEO di Blackstone, la più grande società di investimenti del mondo, secondo cui, in estrema sintesi, il rischio finanziario connesso al climate change necessita di misure di mitigazione degli impatti e di un cambio di paradigma nel modo di intendere le attività umane.
Quando si parla di sviluppo sostenibile, si intende un modello di crescita che punti all’ottenimento di una equità intergenerazionale in termini di benessere economico, sociale ed ambientale. Lo sviluppo sostenibile ha radice in questi tre pilastri, che costituiscono assieme elementi potenziali di crisi ed opportunità.
L’economia circolare, secondo una delle definizioni che più personalmente apprezzo tra quelle presenti in letteratura, è “un'economia che è progettata per essere rigenerativa: i materiali biologici sono concepiti per rientrare nella biosfera, e i materiali tecnici sono progettati per circolare con la minima perdita di qualità” e inoltre “un'economia che è rigenerativa per intenzione: mira a fare affidamento su energie e risorse rinnovabili; minimizza, rintraccia ed elimina l'uso di sostanze chimiche tossiche; ed elimina i rifiuti attraverso un'attenta progettazione" (Ellen MacArthur Foundation, 2014). L’economia circolare ruota attorno a sei principi cardine verso cui orientare strategie produttive e politiche al fine di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e creazione di valore condiviso: Reuse, Recycle, Redesign, Remanufacture, Reduce, Recover (6R).
Alcune chiavi interpretative:
- Ecodesign: progettazione di un prodotto per far sì che sia durevole, riparabile, facilmente smontabile, siano agevolmente separabili le sue parti e componenti e, quindi, sia possibile riciclarle;
- Approvvigionamento con materie prime seconde;
- Dematerializzazione: riduzione degli input produttivi per un dato prodotto/servizio;
- Product as a service: orientamento dei modelli di business alla vendita di un servizio piuttosto che di un prodotto (es. Philips light as a service);
- Simbiosi industriale: creazione di cicli produttivi interaziendali ai fini della valorizzazione degli scarti di produzione (es. Kalundborg Symbiosis)
I differenti livelli di scala “spaziale” su cui possono essere implementate strategie orientate all’economia circolare sono essenzialmente 3: micro, meso e macro. Per livello micro, si intende un livello di implementazione a scala di prodotto, azienda e consumatore, per livello meso si intende un’implementazione a scala di parchi eco-industriali (es. distretto conciario di Santa Croce sull’Arno), mentre quando si parla di implementazione a livello macro ci si confronta con una scala cittadina, regionale, nazionale e via estendendo (Ghisellini et al., 2016; Ghisellini et al., 2017).
Il ruolo strategico dell’economia circolare nell’affrontare e mitigare le sfide e gli impatti posti dall’inquinamento, dall’esaurimento delle risorse e, in generale, dalle attività antropiche è riconosciuto sia nell’ambito accademico (Heshmati, 2017; A. De Pascale, R. Arbolino, K. Szopik-Depczynska et al, 2020) che in ambito politico, come evidente anche dal peso che esse hanno all’interno delle strategie politiche nazionali e comunitarie.
A livello accademico, il dibattito sull’economia circolare non è certo cosa recente. Il concetto di economia circolare e di chiusura dei cicli produttivi ha preso forma già negli anni ’90 e la produzione di articoli tecnici sul tema è prolifica, in particolar modo in relazione al tema della misura della circolarità.
Quando si parla di economia circolare, il tema della misurazione del livello di circolarità assume difatti un’importanza rilevante, in quanto un’accurata analisi e misurazione degli impatti e delle misure di mitigazione, riduzione e compensazione messe in atto è il punto di partenza per l’adozione di politiche e azioni migliorative, con inevitabili benefici in termini di valore condiviso. Un’accurata misura della propria circolarità costituisce inoltre, sia per le imprese che per le PA, un’opportunità di marketing e di attrattività per investitori e partner.
Esistono a livello nazionale ed internazionale esempi di metodi più o meno articolati per la misurazione della circolarità. Uno tra gli elementi più comuni tra i diversi metodi esistenti è la redazione di un bilancio input – output considerando l’intero ciclo di vita del prodotto, seguendo un approccio di tipo “Life Cycle Based”. Secondo quanto riportato nel report del Ministero dello Sviluppo Economico “Verso un modello di Economia Circolare per l’Italia - Documento di inquadramento e di posizionamento strategico”, l’approccio nella definizione di un bilancio può essere graduale sia nel considerare le tipologie di risorse da inventariare (materiche, energetiche), sia per il grado di approfondimento (es. nel coinvolgimento o meno dei fornitori o di altri soggetti della filiera).
Un interessante articolo accademico sul tema della misurazione della circolarità, intitolato “A systematic review for measuring circular economy: The 61 indicators" (A. De Pascale, R. Arbolino, K. Szopik-Depczynska et al, 2020), fornisce una panoramica dei principali indicatori utilizzati allo scopo ed elaborati nel periodo incluso tra il 2000 ed il 2019, il cui utilizzo nell’elaborazione di framework specifici per settori e/o aziende può rappresentare un elemento importante ai fini dell’analisi strategica.
Gli indicatori considerati, singoli o compositi, sono stati raggruppati e considerati in base al loro livello di implementazione “spaziale” (micro, meso e macro) e in base a quali dei principi fondanti definiti dall’economia circolare (6R) l’indicatore analizza.
Alcuni dei principali indicatori di circolarità considerati a livello micro possono rappresentare utili strumenti per valutazioni di screening iniziale a livello di impresa. Ad esempio, il Circular Economy Toolkit (CET) (Evans e Bocken, 2013), disponibile gratuitamente online, fornisce un’analisi qualitativa sviluppata sulla base delle risposte ad un questionario di 33 domande. Scopo di questo toolkit è fornire una valutazione del potenziale di miglioramento di un prodotto in relazione a 7 aspetti: design, produzione e distribuzione, utilizzo del prodotto, manutenzione e riparazione, riutilizzo e redistribuzione, restauro e ricondizionamento, end-of-life e product as a service.
Un altro utile e semplice indicatore di livello micro è il Reuse Potential Indicator (RPI), utilizzato per valutazioni in ambito di waste management. L’RPI valuta la possibilità tecnica di riutilizzo di un dato prodotto prima che esso venga gestito come rifiuto. L’indicatore, il cui valore è compreso tra 0, che corrisponde ad un tasso di riuso nullo, ed 1, che corrisponde ad un tasso di riuso totale, fornisce informazioni di natura quantitativa sulla possibilità di riutilizzo di un dato materiale.
Un indicatore composito utilizzato a livello di azienda o prodotto è il Sustainable Circular Index (SCI). Questo viene calcolato sulla base di un insieme di indicatori associati alla sostenibilità sociale, alla sostenibilità economica, alla sostenibilità ambientale ed alla circolarità, cui vengono associati diversi pesi (Azevedo, S., Godina, R., Matias, J., 2017. Proposal of a sustainable circular index for manufacturing companies). L’indicatore, che può assumere valori compresi fra 0 e 1, fornisce una valutazione quantitativa della circolarità di un prodotto, servizio o azienda, dove punteggi inferiori corrispondono ad una minore circolarità intrinseca.
Un altro indicatore comunemente usato, sia nei report aziendali che nei lavori scientifici, è il Global Reporting Initiative (GRI). Questo indicatore composito considera attributi relativi all'accessibilità delle risorse materiali impiegate nei processi produttivi, includendo valutazioni relative anche alla disponibilità geopolitica (tema di particolare importanza nell’ambito dell’approvvigionamento delle cosiddette terre rare) e alla riciclabilità dei materiali.
Figura 1 - GRI, rappresentazione grafica (Adibi, N., Lafhaj, Z., Yehya, M., Payet, J., 2017)
A livello meso, e quindi alla scala di parchi eco-industriali, assumono rilevanza una serie di indici che danno un’idea dell’efficienza delle pratiche di simbiosi industriale adottate. Tali indicatori, calcolati sfuttando modelli di emergy analysis, forniscono informazioni relativamente al livello di sostenibilità di un parco eco-industriale. Per emergia si intende la quantità totale di energia utilizzata, sotto varie forme, in trasformazioni dirette o indirette di materia per la produzione di un dato prodotto o servizio, espressa in unità di una data energia.
Un esempio è l’Emergy Yeld Ratio (EYR), un indice che misura la capacità di un sistema di utilizzare le risorse disponibili localmente. È dato dal rapporto tra gli output di un dato sistema e gli input esterni necessari per la produzione di quel dato output. Un altro indicatore di questo tipo è l’Environmental Loading Ratio (ELR), un indice della pressione che un processo di trasformazione esercita sull’ambiente. Esso è dato dal rapporto tra l’emergia totale non rinnovabile e l’emergia rinnovabile localmente disponibile (Pedro L. Lomas, Catia Cialani, and Sergio Ulgiati, 2014). Questi due indicatori possono essere accoppiati per fornire l’Emergy Sustainability Index, dato da EYR/ELR, che rappresenta il livello di trade-off tra i vantaggi prodotti da un utilizzo di emergia rispetto agli impatti prodotti da tale utilizzo sull’ambiente. Valori di ESI compresi tra 1 e 10 indicano una buona sostenibilità economico ambientale del sistema analizzato (Ernest Frimpong Asamoah ID, Lixiao Zhang, Sai Liang ID, Mingyue Pang and Shoujuan Tang, 2017).
A scala macro vengono per lo più utilizzate metodologie di accoppiamento di indicatori singoli al fine di creare indicatori multidimensionali. Un approccio comunemente adottato è quello del Material Flow Analysis and Accounting, che consiste nel valutare i flussi di massa ed energia, combinando indicatori di scala micro, meso e macro.
I più comunemente adottati sono i seguenti:
- Resource Productivity Index: intesa come rapporto tra gli output di un’attività in termini di PIL e gli input materiali necessari per la specifica attività;
- Material reuse and recycle rate: dato dal rapporto tra il quantitativo complessivo di materiali riciclati e riutilizzati impiegati in un’attività e la quantità totale di materiali necessari per l’attività medesima (DMI: Direct Material Input);
Un ulteriore elemento comunemente analizzato a scala macro è il rapporto tra il DMI ed il quantitativo di scarti prodotti da un’attività destinati a smaltimento.
Esistono ovviamente molti altri indicatori per ciascuna delle scale considerate e, a seconda dell’oggetto dell’analisi, la combinazione di più indicatori può fornire uno sguardo differente sulla natura dei processi oggetto di valutazione. La selezione degli indicatori e della prospettiva di analisi richiede esperienza ed un approccio multidisciplinare, nonché una propensione al cosiddetto “Life Cycle Thinking”, ossia ad una visione olistica dei sistemi e dei processi produttivi, che vanno valutati lungo tutto il ciclo vita.
I vantaggi di questo tipo di approccio sono tuttavia molteplici, e costituiscono, dal punto di vista professionale, un’interessante opportunità per la creazione di valore per le imprese e per la società. Credo che, per un professionista, avere l’opportunità di massimizzare il proprio impatto positivo minimizzando gli impatti negativi dei processi su cui si trova ad operare sia uno stimolo importante, che può trasformarsi nella spinta necessaria per mettersi in gioco ed acquisire nuove competenze spendibili in un mercato in costante evoluzione.